Individuazione propriocettiva delle risonanze
Il suono della vibrazione delle impropriamente definite “corde vocali” è estremamente debole e solo dopo essere stato espanso dagli amplificatori costituiti dalla cavità oro-faringea e dai vari seni della scatola cranica raggiunge la sua completa udibilità.
È quindi estremamente importante che il cantante sia in grado di individuare le proprie zone di risonanza del suono originario perché solo sfruttandole al meglio è possibile ottenere un suono ricco di armonici.
Se il suono non ha armonici, ossia frequenze multiple del suono fondamentale, difficilmente riuscirà ad essere intelligibile agli ascoltatori.
Occorre fare alcune precisazioni.
In effetti un suono sinusoidale puro prodotto da un generatore di frequenza è chiaramente perfettamente udibile e la sua udibilità è data dalla sua ampiezza, ossia dal suo volume.
Perché si afferma quindi che un suono per essere udibile deve avere ricchezza di armonici?
Dovrebbe bastare semplicemente un grande volume per essere facilmente udibile.
Quanto affermato ha senso solo da un punto di vista fisico ma l’ascolto dei suoni non segue semplicemente o, completamente, le leggi della fisica, ma anche se non principalmente le leggi della psicoacustica.
L’orecchio umano ( o meglio, il cervello) svolge un ruolo attivo nel fenomeno percettivo selezionando i segnali che raggiungono le prime vie percettive costituite dall’orecchio propriamente detto.
È evidente che il volume d’aria coinvolto nella produzione di un suono generato da un contrabbasso è molto superiore a quello usato da un ottavino, eppure l’ottavino in orchestra prevale su una intera sezione di contrabbassi.
Le frequenze più alte impongono al cervello un’analisi del suono maggiore rispetto alle frequenze gravi poiché generano un numero di informazioni maggiori nell’unità di tempo.
Ecco perché l’ottavino pur non avendo un grande volume riesce a predominare nella sua udibilità su un’intera sezione di contrabbassi.
Un suono grave quindi per essere udito bene deve quindi avere ricchezza di suoni armonici che ne arricchiscono all’acuto la gamma di frequenze che il cervello è così “costretto” ad analizzare rendendolo quindi percettivamente ineludibile.
La gamma di percezione dell’orecchio umano ( di un soggetto giovane e sano) va dai 20 ai 20.000 Hz circa.
Le frequenze usate dalla musica vanno invece dai 25 ai 4200 Hz circa ( il La più grave presente nella tastiera del pianoforte corrisponde nel sistema temperato in uso ad una frequenza di 27,5 Hz mentre il Do più acuto corrisponde a 4186 Hz seguendo l’accordatura con un La a 440 Hz), quindi i suoni avranno maggiore udibilità se riusciranno o meno a generare suoni armonici oltre le frequenze puramente musicali che si fermano intorno ai 4000 Hz circa.
È quindi fondamentale che il suono della voce sia ricco di armonici e tale arricchimento è solo possibile se il suono generato dalla vibrazione delle labbra vocali subisca delle “riverberazioni” all’interno dell’apparato vocale che lo arricchiscano di frequenze armoniche molto alte in modo da renderlo ricco di informazioni psicoacustiche che costringano il cervello ad analizzare il suono, focalizzando su di esso la percezione.
Il volume della voce non dipende quindi significativamente dal volume d’aria o dalla pressione esercitata sulle corde vocali come qualche scuola di canto suggerisce di inseguire, ma anche, se non soprattutto, dalla sua qualità armonica.
Risulta quindi fondamentale sfruttare le cavità di risonanza che per fortuna la natura ci ha regalato.
Prima di tutto occorre sapere quali possono essere, poi cercare di individuarle e poi di sfruttarle al massimo.
Le cavità di risonanza
La prima cavità è proprio il cosiddetto tratto vocale in inglese vocal tract che determina la prima vera amplificazione del debole suono prodotto dalle corde vocali.
Tale zona di risonanza è molto usata nel canto popolare e certe fisiologie particolari riescono a sfruttarla anche in ambiti di estensione notevoli.
Il suono che si produce può in qualche caso risultare “ingolato” ossia che si affida a risonanze faringee, anche se una parte raggiunge comunque risonanze alte in modo automatico, ossia senza un indirizzamento cosciente.
Tale emissione difficilmente riesce a coprire estensioni notevoli ed è vittima delle famose frequenze di passaggio tra i cosiddetti registri della voce che anche l’antica scuola del canto individuava.
Nel tempo poi l’apparato vocale può usurarsi a causa della pressione eccessiva operata sulle corde vocali e della tensione della muscolatura dell’apparato vocale, unico modo a disposizione per ottenere un suono efficacemente udibile.
Tuttavia non pochi cantanti di successo usano tale cavità, anche se il risultato estetico non può essere universalmente accettato.
Nel registro acuto è molto difficile usare tale cavità di risonanza e solo certe fisiologie particolari riescono a sfruttarla, anche se il risultato è comunque più vicino al grido che al canto.
In genere si tende a generare i suoni del registro acuto sfruttando le cosiddette risonanze di “testa”.
Le definizioni usate per le zone di risonanza hanno un valore scientifico piuttosto relativo e sono determinate principalmente dalla sensazione propriocettiva di chi produce il suono ed anche di chi lo ascolta.
La testa non può costituire una cavità di risonanza, a meno che non sia vuota cosa, si spera, non sia mai reale….
Ma il cantante può avere la sensazione che il suono fuoriesca proprio dal centro della testa specialmente nelle frequenze più acute.
Esistono delle cavità nella testa e sono i cosiddetti seni frontali che risiedono appunto nella fronte e non al centro della testa.
I seni frontali non hanno tuttavia un collegamento con le vie aeree sottostanti pertanto una loro partecipazione alla produzione del suono può essere ipotizzata solo attraverso il passaggio della vibrazione sonora attraverso le ossa della scatola cranica, cosa sicuramente non semplice da immaginare e sicuramente poco percepita dai cantanti che raramente avvertono la presenza di una vibrazione del suono a livello frontale.
Fisiologicamente la parte che é in contatto con le vie aeree è invece la base della scatola cranica che ha nelle coane la zona di comunicazione con il naso da parte del tratto vocale.
È una zona molto interna praticamente al centro della testa per cui il cantante la percepisce come se fosse sulla volta della scatola cranica.
La zona di risonanza da un punto di vista puramente fisiologico è quindi sotto la scatola cranica luogo destinato ad ospitare il cervello
( si spera…).
Il volto ha dei grandi seni denominati seni mascellari, tali seni costituiscono la zona di risonanza comunemente definita come “maschera” .
Tale definizione deriva dalla individuazione della zona dove si appoggia la maschera ossia la parte compresa tra gli zigomi e la parte superiore dell’arcata dentale mascellare.
Altri seni presenti all’interno del complesso maxillo-facciale sono i seni etmoidali piccole cavità poste vicino l’attacco del naso.
La cavità nasale è in genere piuttosto ampia ed è ovviamente in diretto contatto con la sottostante cavità oro-faringea dalla quale è parzialmente da essa separata dal velo palatino che è la parte molle terminale del palato che si raccoglie nell’ugola, ossia la piccola protuberanza che pende dal palato simile ad una goccia.
È interessante notare che quando si parla di grandi cantanti li si definisce come “Ugole d’oro”.
Ma sapere quali sono le zone di risonanza non significa poterle sfruttare immediatamente.
Tali zone devono essere percepite dal cantante e si deve imparare a far confluire in esse la propria vibrazione sonora.
Solo attraverso l’esercizio e la sperimentazione pratica è possibile arrivare a percepire quando il suono sfrutti o meno le varie zone di risonanza, e solo se il tutor che coadiuva il cantante ha una grande capacità di analisi della qualità del suono emesso.
C’è da aggiungere che poi ogni individuo ha proprie caratteristiche fisiche particolari ed è possibile che per alcuni individui certe zone di risonanza siano più utili al raggiungimento di una emissione della voce efficace, rispetto ad altre.
Lo studio del canto non può essere ridotto alla descrizione di apparti fisiologici, è un cammino evolutivo che non è statico né dottrinale, avendo una specificità ed un fascino assolutamente particolari.