La Respirazione

La respirazione è sicuramente un elemento fondamentale dell’attività canora, e riuscire a capire bene come gestire la respirazione durante il canto è forse il primo elemento di una tecnica sicura. In ambito didattico ci sono varie definizioni che circolano in modo poco esauriente, che spesso si affidano più all’intuizione che alla esattezza descrittiva.

Si sente parlare di “spinta del fiato”, “appoggio”, “sostegno” e “apnea” e soprattutto “respirazione diaframmatica”, ma spesso tali definizioni sono molto vaghe nella cognizione non solo di chi le apprende ma anche da parte degli stessi docenti di canto.

Quella che viene definita come respirazione diaframmatica, in effetti dovrebbe essere la normale respirazione di chi gode di buona salute e usa tutto lo spazio polmonare per respirare.

Molte persone in effetti, specialmente le donne, usano la cosiddetta respirazione clavicolare, ma questo deriva da uno stato fisiologico non del tutto sano. Normalmente chi fa sport tende naturalmente ad usare la respirazione diaframmatica che permette di riempire in modo efficace la parte bassa dei polmoni sfruttando quindi al massimo la propria capacità polmonare.

Le tecniche di respirazione Yoga usano una forma di respirazione diaframmatica molto complessa che porta ad un controllo attivo del diaframma che normalmente è un muscolo semi liscio che svolge in completa autonomia il proprio lavoro. Imparare le tecniche di respirazione yoga può quindi essere un interessante ampliamento delle proprie capacità propriocettive, ma nel canto il vero obiettivo è il raggiungimento dell’autonomia del lavoro diaframmatico che dovrebbe svolgersi senza sforzo o impegno dei muscoli accessori.

Se nel processo respiratorio si producono delle rigidità muscolari tale processo diventa un ostacolo al canto disteso, non un supporto. Purtroppo molto spesso l’approccio all’emissione della voce assomiglia al grido ed avviene quindi tramite una compressione forzata del fiato. Il cantante dovrebbe invece avere sempre una sensazione di “galleggiamento” del suono prodotto sulla colonna d’aria che si dovrebbe creare all’interno dell’apparato fonatorio.

La tradizione didattica antica parlava dell’ “apnea”  quale principio fondamentale della tecnica respiratoria. In effetti molte discipline sportive di breve durata usano l’apnea per il loro svolgimento. Ad esempio la corsa sui cento metri non potrebbe raggiungere gli attuali record se gli atleti non la svolgessero in apnea. Ma nel canto un fraseggio musicale può durare anche molto più di dieci secondi. Apnea significa chiaramente “senza respiro” ossia lo scambio respiratorio durante l’apnea è sospeso. Se si usa l’apnea non ha quindi senso parlare di spinta del fiato o peggio ancora di compressione ad opera del diaframma.

Sarebbe opportuno riflettere sui principi fisici che determinano l’incameramento dell’aria, ossia l’inspirazione.

In realtà l’aria non viene aspirata, perché all’interno del corpo non esiste alcuna pompa d’aspirazione. L’apparato respiratorio nella fase inspiratoria può essere paragonato a un soffietto che dilatandosi crea una depressione determinate l’ingresso dell’aria all’interno.

É l’aria che entra, non siamo noi ad aspirarla

Il diaframma contraendosi determina un aumento volumetrico dei polmoni, generando pertanto una depressione al loro interno. Avendo l’aria esterna una pressione maggiore, si determina un nuovo equilibrio pressorio e i polmoni si riempiono d’aria.

Il diaframma tornerà spontaneamente al suo stato di decontra­zione riposizionandosi verso l’alto e potrà coinvolgere in tale movimento anche i muscoli intercostali e soprattutto lo Psoas (da alcuni definito come il muscolo dell’anima). L’apparato tenderà poi a ristabilire l’equilibrio pressorio in relazione alla diminuzione del suo volume interno e l’aria in eccesso sarà naturalmente espulsa.

Non sono necessarie né una ”aspirazione” forzata del fiato né, tantomeno, una sua compressione per determinarne l’uscita.

Non è necessario usare l’apparato respiratorio come se fosse un mantice (soffietto per camino ma anche apparato di compressione di vari strumenti ad ancia quali l’organo, l’armonium, la fisarmonica e il bandoneon). Se infatti si prova ad inspirare semplicemente espandendo il diaframma un determinato quantitativo d’aria, si noterà che rimanendo in apnea, ossia chiudendo le labbra vocali, impropriamente definite corde, (è possibile farlo anche tenendo la bocca aperta) si noterà che dopo non troppi secondi l’aria uscirà automaticamente per rigenerare l’equilibrio pressorio. Non è necessaria alcuna compressione e alcuna trasformazione dell’apparato respiratorio in un mantice attivo per esplellere l’aria. Un esperimento chiarificatore può essere fatto gonfiando un palloncino e chiudendone poi l’estremità. Ovviamente il palloncino ha bisogno di un’immissione forzata perchè non è in grado di espandere autonomamente il suo volume, così come il mantice di un soffietto per il camino, mentre il diaframma può appunto determinare la desprssione che induce l’incameramento dell’aria. Tornando all’esperimento con il palloncino, aprendone l’estremità, l’aria al suo’interno, avendo una pressione maggiore rispetto a quella esterna uscirà automaticamente. Non solo, facendo collimare i lembi del foro d’uscita del palloncino si otterrà addirittura un suono. Se si proverà poi a comprimere il palloncino per forzare la naturale uscita dell’aria si potrà verificare che il suono prodotto abbasserà l’intonazione. Pertanto sia in ispirazione sia in espirazione, nel canto, non dovrebbe essere necessaria alcuna forzatura sul flusso dell’aria.

Il video seguente illustra quanto precedentemente descritto.

 

L’apparato fonatorio biologicamente si è sviluppato principalmente per assolvere ad una funzione fondamentale, ossia impedire ad elementi solidi di invadere i polmoni. Parlare e soprattutto cantare sono attività innestate successivamente su apparati evolutivamente nati per una funzione diversa. L’emissione della voce può avvenire tuttavia usando tecniche diverse ossia si può comprimere il fiato volontariamente quindi non in apnea, ma con una fuoriuscita del fiato controllata, usando oltre al diaframma anche i muscoli addominali e intercostali ai quali esso si innesta e che fungono da antagonisti.

La tecnica dell’apnea invece ferma la fuoriuscita del fiato praticamente bloccando il volume d’aria virtualmente in corrispondenza della cavità alta oro-faringea (Rinofaringe) ossia sotto il palato, ma in realtà il blocco avvienne in corrispondenza della zona laringofaringea. Questo chiaramente presuppone che le labbra vocali si adducano, svolgendo quindi la loro naturale funzione di occlusione delle vie aeree.

Nella tecnica dell’apnea il fiato non è spinto fuori ma viene trattenuto all’interno dell’apparato fonatorio. In questo caso la sua fuoriuscita è determinata unicamente dalla naturale pressione esercitata dal diaframma senza il coinvolgimento di altri muscoli e la quantità d’aria che fuoriesce è solo quella minima parte che riesce ad uscire nei microsecondi di interruzione dell’adduzione determinata dalla frequenza del suono emesso. Le labbra vocali infatti per produrre il suono creano delle interruzioni ritmiche della loro adduzione in relazione alla frequenza della nota prodotta.

Usando la tecnica dell’apnea il fiato è sfruttato al massimo, senza bisogno di forzarne la fuoriuscita. In effetti il fiato non serve per “sfregare” le “corde” vocali, perché le labbra vocali non sono corde, ma pliche che vibrano non specificamente per l’azione del fiato che passa  attraverso di esse (tale modello, purtroppo avuto in eredità dal foniatra Auguste Ferrein, ha generato molti equivoci sul funzionamento dell’apparato vocale) ma in base alla teoria neurocronassica, anche per un fenomeno vibratorio sicuramente legato ad innervazioni direttamente dipendenti dalla corteccia cerebrale.

Realizzare una corretta apnea non è tuttavia semplicissimo perché si corre il rischio di trattenere in modo forzato il fiato per realizzarla, specialmente se si blocca il fiato all’altezza della gola. L’importante è creare un volume d’aria all’interno della cavità oro-faringea immaginando di fermare il fiato all’altezza del palato superiore. La sensazione propriocettiva che si dovrebbe avere è quella di una sospensione sotto il palato di una sfera di aria che dovrebbe idealmente trasformarsi in un cono nell’arco dell’esecuzione di una frase. Se il fiato viene spinto anche il suono risultante risulterà spinto. Tale tecnica di spinta comunque può anche risultare efficace e molti cantanti l’hanno usata realizzando carriere invidiabili. Ma questo tipo di tecnica però comporta molti rischi e non garantisce una tenuta nel tempo delle prestazioni vocali. Quando la muscolatura avverte stanchezza o si usura per l’età avanzata, si avvertono dei problemi imbarazzanti quale ad esempio il cosiddetto “ballamento” della voce, che è cosa molto diversa dal vibrato naturale della frequenza del suono arricchito degli armonici delle varie risonanze, ossia da tutta la faringe (Rinofaringe, Orofaringe e Laringofaringe) alle quali si aggiungono spontaneamente (quindi mai forzandone l’indirizzo) quelle facciali ( la cosiddetta “maschera”).

In effetti per produrre il suono non dovrebbe servire usare il fiato; prendere fiato dovrebbe servire unicamente a creare la campana di risonanza del piccolo suono prodotto dalla vibrazione delle labbra vocali, quindi tale fiato non va sprecato ma trattenuto all’Interno di tutte le cavità faringee per costituire la cassa di risonanza che amplifica il suono prodotto dalle labbra vocali. Ma per realizzare tale tecnica si ha bisogno di uno studio specifico, perché l’istinto porta a spingere il fiato per cantare, non a trattenerlo usandolo come riserva del volume d’aria necessario alla risonanza del suono.

Quando si applica tale tecnica il canto si trasforma da parente del grido ad una attività quasi immateriale se non addirittura metafisica.

Non si avverte nessuno sforzo e si ha una percezione sicuramente non proporzionale a quella degli ascoltatori del suono prodotto. La propria voce invade lo spazio con facilità e sembra quasi di non avere un vero impegno nella produzione del suono.

Ma tale tecnica non è né istintiva né naturale, va appresa, in via naturale si tende ad incamerare il fiato e a comprimerlo verso l’esterno condizionandolo alla produzione del suono e della parola.

Poche persone e poche lingue sono predisposte all’uso dell’apnea nella emissione vocale. Normalmente si usa una emissione simile al grido, non quella che tende al controllo del fiato che viene confinato in uno spazio di risonanza interno, come dovrebbe avvenire nel canto basato sull’apnea.

Il canto basato sull’apnea prevede poi una immagine mentale del controllo della parola esattamente inverso alla tecnica di compressione del fiato verso i punti di risonanza, ossia occorre immaginare che la parola si “separi” il suono che nasce nella parte alta della campana (cono) di aria stabilizzata sotto il palato. In altri termini la parola pronunciata fuori della cavità oro-faringea si aggiunge al suono percorrendo il tragitto che va dal palato verso le labbra e i denti. In tal modo la parola crea un’ulteriore spazio di deflusso del suono che si è sviluppato all’interno dell’apparato vocale. Soprattutto le consonanti non devono mai interrompere il flusso sonoro, che non è diretto all’esterno come nel caso della spinta del fiato, ma all’interno della cavità di risonanza oro-faringea. Le vocali permettono il massimo sviluppo del suono, ma non devono interferire con la sua produzione, nè tantomeno devo essere “investite” dal flusso del fiato.

Non deve uscire il fiato, deve uscire il suono!

La respirazione quindi non dovrebbe essere intesa come riserva di un mantice da spremere, ma come preludio alla creazione di una cassa di risonanza. Per convincersi che si può cantare senza usare il fiato si può fare un semplicissimo esperimento. Dopo avere espulso, espirando il fiato, tutta l’aria che si ha nei polmoni, si deve immediatamente iniziare a cantare una frase cercando di sfruttare al massimo le risonanze palatali. La sorpresa sarà sicuramente che senza fiato (apparentemente, dato che espellendo la massima quantità di aria i polmoni hanno comunque al loro interno poco meno della metà del massimo volume che ne possono contenere), si può cantare senza problemi.

Spesso prendere troppa aria non è affatto di aiuto ad una corretta emissione, si rischia di non essere in grado di governare l’apparato vocale perché si è “ingolfati” e quindi rigidi. Il nemico maggiore del canto è la rigidità muscolare, specialmente quella diaframmatica.

A volte quando si canta si può avere la sensazione di non avere più fiato, ma come dimostrato nel precedente esempio dove i polmoni si era cercato di renderli vuoti e poi si è riusciti lo stesso a cantare, il problema non è la mancanza del fiato ma l’impossibilità di poterlo fare uscire. Il fenomeno si verifica non per mancanza del “carburante” ossia del fiato, ma da un blocco del motore ossia il diaframma. Quando il diaframma si irrigidisce non è più in grado di svolgere la sua funzione e si ha la sensazione di non avere più fiato per cantare.

Obiettivo del controllo della respirazione è quindi proprio rendere elastico il diaframma dandogli la possibilità di comprimere senza sforzo il fiato quel tanto che basta a mantenere l’appoggio del volume d’aria che ha il suo apice nella cavità alta oro-faringea.

Per evitare la rigidità del diaframma è quindi importante riuscire a non bloccare l’appoggio del fiato pur indispensabile trasformandolo immediatamente in sostegno ossia in azione di aggancio del flusso sonoro al palato superiore. Sostegno ha come radice etimologica “sus-tenere” ossia tenere su. Tuttavia è anche importante non bloccare la muscolatura  perchè tale blocco coinciderebbe con una staticità del flusso sonoro. Può tisultare utile immaginare di allargare la base del cono virtuale che potrebbe essere immaginato con l’apice posto sul sul palato duro e la base almeno sotto la laringe. Si può addirittura immaginare che tale base sia virtualmente  posta all’altezza dell’ombellico.  Il termine appoggio presuppone l’esistenza di di una base, ma tale base non deve essere gestita in modo rigido, bensì con morbidezza dinamica. É lo stesso meccanismo usato normalmente che infatti si svolge in modo automatico e senza sforzo. Ovviamente i volumi in azione durante l’attività canora sono maggiori, ma il meccanismo dovrebbe rimanere identico a quello che ci permette di svolgere le normali attività.’ Nel canto appoggio e sostegno sono conseguenti e non si deve mai bloccare il fiato sull’appoggio delle note, ma permettere la libera decontrazione del diaframma che riporterà l’apparato respiratorio alla posizione di volume interno originaria.

È evidente che solo uno studio pratico può chiarire l’applicazione di quanto è stato qui esposto.